Da diversi anni ormai ci troviamo all’interno di una contingenza temporale che ragiona per immagini.

Dai social network ai media, il nostro linguaggio è oramai stato sostituito dalla fotografia che denota l’impronta di ciò che intendiamo comunicare.

Il titolo dell’ opera “Senza le parole”, omaggio a Giovanni Paolo II, definisce ciò che racconta l’immagine, la possibilità di comunicare senza l’utilizzo del parlato. L’artista ha difatti colto il soggetto, figura universale e carismatica per tutti i popoli, nel momento in cui è impossibilitato a parlare per lanciare un preciso messaggio. Descrivendo una personalità religiosa ma soprattutto politica, mediatica, colto nell’attimo, divenuto storico, in cui lancia un grido soffocato e profondamente spirituale.

La pittura figurativa e gestuale di Fabrizio Vatta parla attraverso un ritratto dal taglio espressionista profondamente umano, raccontando l’impossibilità di rivolgersi ad un popolo con la voce, mosso soltanto dalla forza dell’espressività del volto sofferente, lasciando trasparire una spiritualità, attraverso le pennellate decise, rimasta iconica nella memoria, così come la forte personalizzazione dell’uomo. Con un urlo strozzato che grida più di un discorso, il religioso viene colto nella sua più integra umanità, al di là dell’ufficialità del ruolo, spogliato della sua carica, per rivelarsi nudo e fragile pubblicamente di fronte alle masse, esattamente come Cristo sulla croce si abbandona ad un urlo disperato mostrando la sua debolezza umana e allo stesso modo tragica di persona morente.

Francesca Baboni